domenica 23 dicembre 2007

vaga sensazione di vita

c'è che niente niente stamattina mi sa che sono rinato.
così sia direi.
e posso anche spuntare la casella essere buttato fuori da un locale fra le cose fatte.
ringrazio ogni mano, metaforicamente intesa, protesa verso di me ieri sera: siete il mio regalo più bello, tutti per dio.

lunedì 17 dicembre 2007

mitologie in sciopero

ovvero manifesto di un ex amante pigro e disimpegnato in epoca tardomderna.

E' vero mdme A., la psicoanalisi è una banale pornografia e Freud ci ha davvero rovinato con i suoi simboli fallici, eppure... eppure c'era qualcosa di dannatamente trascinante nella forza di Edipo, nella mano del figlio che uccide il padre, che molti come me hanno perso. Parlo dell'ebbrezza di respingere e combattere la prima autorità che ci viene imposta per natura e da lì continuare con le successive, parlo di distruggere il sistema camuffatto da Super-io sempre pronto a dare ordini, a dirci cosa fare e cosa non fare, parlo di sovvertire chi sta sopra di noi e ci comanda. La voglia di cambiare l'ordine, contestare, alzare la voce come protesta e disobbedire che ancora tu, come altri, per fortuna, portate avanti in maniera attiva è frutto dello stesso impeto che guidava Edipo contro Laio. La vertigine che provo le rare volte che ancora sono in un corteo è la stessa del figlio che prova una pulsione di morte verso il genitore. Ma che fine ha fatto quell'uccisione simbolica in me e nelle persone che mi circondano? Dov'è finito il bisogno di abbattere per crescere e ricostruire? Edipo s'è messo braccia conserte. E' arrivato il momento del suo picchetto personale. Ha lasciato il posto a un Narciso precario, sull'orlo continuo della caduta in acqua. Un Narciso allo specchio che ci ha condannati all'isolamento nella stitica dimensione dell'ego. Guardaci mdme A.: tutti confinati a un torbido Stige personale in cui cercare invano un riflesso. Vogliamo avere successo, diventare blogstar, avere visibilità tramite un fottuto myspace. Incapaci di costruire una nostra identità, ci preoccupiamo solo dell' immagine senza più portare avanti il conflitto, senza batterci per la contraddizione. Senza urlare in faccia ai nostri padri che vogliamo ancora essere sognatori o che siamo lesbiche e froci e donne e studenti e lavoratori in balia del nulla. Ogni azione fine a se stessa, fine a noi stessi. Ne faccio parte anch'io, mettici che anche se volessi non saprei come combattere un padre che non ho mai avuto e siamo a cavallo. Che cosa resta di me? Che resta di cosa avrei voluto essere? Che resta di cosa avrei voluto lasciare? Che cosa resta dell'altro a cui non riesco più a relazionarmi? Che resta del mondo possibile? Solo le sensazioni. Quelle che proviamo mentre amiamo. Mentre pensiamo a loro. Mentre rincorriamo. Mentre tocchiamo, abbracciamo, slacciamo cinte, spogliamo, infiliamo lingue e mani. Mentre sentiamo gli spasmi arrivare. Mentre veniamo. La nostra identità. Ora e qui. In un momento storico in cui non c'è più il tempo e ogni posto è un nonluogo. L'amore, la nostra rivoluzione. L'orgasmo, la nostra misera lotta. In equilibrio incerto, come per ogni contratto a termine. Cara mdme A., sai che c'è, mi sento spento e forse rivoglio Freud, forse rivoglio Edipo...

domenica 9 dicembre 2007

a chi non c'era ovvero a chi è stato e a chi verrà.

tanto è sempre la stessa fottuta storia.
d'amore, s'intende.


venerdì 7 dicembre 2007

acetilsalicilico

... direi che c'ho quasi ripensato. dio dell'inverno, anche detto dio del natale, dagliela da solo una spintarella a sto cazzo di dio dell'autunno e cambia il regalo con lo scontrino. voglio qualcosa di rosso, che assomigli a un sogno e che bruci. così non prendo più freddo, va bene?

giovedì 6 dicembre 2007

raffreddore stagionale pt.2

dio dell'autunno... magari puoi levarti dal cazzo e fare spazio al dio dell'inverno, anche detto dio del natale, che mi doni un fottuto letargo o mi schianti un presepe addosso. all'istante per favore. senza fila alla cassa.

giovedì 29 novembre 2007

la fagocitazione come soluzione provvisoria alla perdita

ovvero riflessioni postume e incompiute di un festino universitario in un labirinto degli specchi.

Mi rivedo in S.1. La sigaretta ben ancorata nella destra e quell'andatura imponente che dà l'impressione di tagliare l'aria nonostante si mantenga sempre rispettosa dell'ambiente circostante. Ogni suo movimento sembra riflettere il carattere a tratti brusco ma in ogni caso cosciente dei limiti oltre i quali spingersi nel rapportarsi con gli altri. Ogni suo passo in avanti pare esprimere la curiosità con cui guarda a quello che sta per accadere. Ogni suo chinarsi verso di me mentre trascina le parole è un simbolico protendersi verso il mondo e ogni essere. Guardarlo entrare dalla porta principale mi fa pensare a come il portamento sia spesso un buon codice per conoscere l'interiorità di una persona. Vederlo che si aggiusta la maglietta stretta mi fa venire in mente ogni uomo e ogni donna che ho amato. In tutti i casi si trattava di qualcuno che restituisse la fisicità che il mio io non ha mai avuto, che mi facesse riappropriare del corpo, per anni represso e disprezzato. Qualcuno che riuscisse a riempire con la sua carne e personalità eccedente il mio sentirmi senza spessore.

Mi rivedo anche in S.2. Dice di non essere fumatore, poi a ogni birra e a ogni chiacchiera più lunga e apparentemente più stimolante del solito si prende il suo tabacco e se ne gira una. Dice che lo fa per semplice piacere estetico e del gesto rituale: leccare la cartina, guardare la sigaretta una volta fatta, accenderla e osservare il fumo mentre parla. Mi fa ridere il tono con cui lo ripete ogni volta che qualcuno glielo chiede, che ti verrebbe voglia di dirgli falla finita ti piace fumare e basta. Poi ci ripensi e lo guardi sorridente perché in fondo è molto più produttivo costruire il significato, anche solo narrativo, di ogni stupida esperienza, piuttosto che perder tempo a cercare una qualche verità. Dal suo metro e novanta ha quel fascino ambivalente che si prova verso le persone che guardano ogni cosa all'alto verso il basso: si vorrebbe gambizzarle per eliminare almeno una decina di quei centimentri strafottenti e allo stesso tempo riuscire ad essere come loro. Anche lui entra dalla porta principale e mentre lo scruto penso che con la sua altezza pare tutto proteso verso qualcosa di spiritualmente superiore ma anche che, conoscendolo, probabilmente non ce la farà ad elevarsi come la natura pare averlo disegnato.

Somiglio forse anche a S.3. E' un tipo che di certo non si nota con l'occhiata distratta della prima volta. Non impugna sigarette come coltelli per tagliare l'aria o percorsi di significazione e ha un aspetto un po' sfatto, la barba incolta, qualcosa nei lineamenti che non si riesce a leggere completamente. Anche quando non si trova a domandare un come o un perché ha sempre una tensione inquieta tutta espressa nell'increspatura che gli corruga la fronte, come se il caos avesse voluto alla nascita lasciargli addosso un segno di sé, un dubbio continuo. Entra da un ingresso secondario e si nasconde dietro gli altri. Lo guardo mentre si versa bicchieri su bicchieri, che non sono mai troppi, e poi attacca a parlare. Cercando di non palesare la sua insicurezza usa l'autoironia per esorcizzare ogni apparente debolezza: rivela a destra e a manca le sue nevrosi e i suoi limiti cercando di scherzarci su ma è palese che finisca per sconfinare spesso in un senso di vergogna. Ascoltarlo mi fa pensare che la forza di ogni uomo e ogni donna dovrebbe essere lo stesso sorriso disarmante con cui si smaschera lui. Magari insieme a un po' più di autostima.

domenica 4 novembre 2007

risveglio polisemantico

così è successo ancora. di nuovo io e te, in camera mia. siamo in silenzio e tace anche la stanza. distesi sul letto, ti abbraccio e ti tolgo i vestiti, chiudo gli occhi ed inizio a toccarti. schiena, spalle, gambe, braccia, riconosco ogni parte del tuo corpo. sembri tu, ancora una volta. poi inizi a parlarmi con voce di donna. e allora capisco, non si tratta di te. dentro so che hai prestato il tuo corpo a una ragazza ed è lei che si racconta a me. apro gli occhi e svanisce ogni immagine. pessima scelta essermi messo a dormire.

giovedì 25 ottobre 2007

l'arte amatoria e quella psiconautica

E venne il giorno dell’allucinazione, il giorno di Gesù Cristo con la clessidra in mano.

“Soffia sulla sabbia” diceva.

Aprii gli occhi e posai lo sguardo su un posacenere che ricordavo meno pieno. Misi a fuoco la solita crepa sulla parete di fianco al letto, scrutai i mozziconi sparsi sul ciglio del pavimento. Aprii gli occhi, scesi dal letto e riconobbi la stanza, anche questa volta, per fortuna.

“Non c’è più tempo, soffia sulla sabbia” ripeteva.

“Non posso, come faccio con il vetro che la tiene al riparo?” risposi.

E c’era la terra che tremava, le incertezze esistenziali che continuavano a nascondersi nei movimenti ancora pieni di sonno, una cartina che cadeva dal pacchetto, la pioggia che scrosciava sul davanzale e sulle ombre del palazzo, gli alberi che si affacciavano da fuori e salutavano alla mia finestra ma Lui continuava a girare e rigirare la clessidra.

Ne ingerii altri 20 grammi, tutto sommato una buona colazione, guardai l’attaccatura dei capelli allo specchio e la fronte che si alzava e salutava anche lei, – buongiorno, come stai? – diceva; tutte le mie parole erano ferme nella sua bocca al momento del congedo.

Così venne il giorno dell’allucinazione, l’ora del Cristo che aveva le fattezze di mio padre e non faceva che contare il tempo, e fermarlo, e poi osservarlo da vicino, e mescolarne ed invertirne i mesi, le stagioni, i minuti.

Decisi di uscire. Mi infilai gli stracci del giorno prima, allacciai a fatica le scarpe e varcai la soglia. Aveva smesso di piovere. Per strada il marciapiede giocava ad allungarsi a intermittenza sotto i miei piedi e a farmi scivolare continuamente sulla lucentezza del bagnato.

Vidi una donna anziana, sulla settantina. Faceva freddo, se ne stava tutta coperta nella morbida sciarpa.

“Quanti uomini hai amato?” le chiesi.

“Ho amato solo te, in mille uomini diversi” risposero le sue rughe.

La guardai meglio e allora presi a scappare, iniziai a correr via, perché in quelle sue pieghe della pelle c’era la vita, tutta intera, come mai l’avevo conosciuta, di mia madre, c’era la storia di ogni meretrice e di ogni santa, c’era Giulia, l’unica donna che avrei mai amato, c’era Maria, che aveva generato Lui che faceva la distribuzione degli istanti, c’era Eva che se la batteva con Maria per il titolo di madre dell’uomo, c’era Salomé con la sua grassa risata e la testa di Giovanni Battista in mano, c’era Elena, la sorella che non avevo mai avuto e di cui non ero mai stato geloso.

Fra le increspature di quel volto c’erano ogni donna in ogni tempo e in ogni luogo.

Ma più fuggivo e più le rughe della vecchia mi inseguivano. Più scappavo e più diventavo figlio di ciascuna di loro. Più andavo di fretta lungo la via e più ne ero anche l’ amante, e l’ uomo fedele e il fratello e il padre. La corsa sembrava l’unico modo per redimermi da un primordiale senso di colpa verso loro tutte, in qualsiasi tempo e in qualsiasi luogo. Veloce attraversavo ogni parte del quartiere, ogni fottuta piazza e ogni bastardo angolo del territorio ma non c’era via di scampo o assoluzione.

Ero completamente fuori di me, o, cosa più probabile, totalmente dentro.

All’improvviso vidi una fontanella e mi fermai a bere un sorso, sperando di calmarmi e ritrovare un flusso naturale e più leggero di pensieri.

Lentamente, passo dopo passo, mente e corpo ancora tremolanti, ripresi un’andatura normale e con essa ogni intenzione punitiva tornava ai suoi livelli medi.

“Ora hai conosciuto la sofferenza e la passione del creato intero. Non moltiplicherai più i tuoi giorni e la tua discendenza come la sabbia, soffia!” ricomparve Cristo con la sua barba incolta, i guanti bucati e la clessidra fuori dalla tasca della giacca a costine che indossava con stile.

Continuai il mio percorso lungo la strada ed entrai in un bar.

Uno schermo accesso mandava immagini di un incendio in qualche posto lontano da quel freddo e quella pioggia di novembre; probabilmente si trattava di un telegiornale.

Mi lanciai su uno sgabello, biascicai qualcosa fra i denti e mi servirono un gin tonic.

Ammirai l’incendio riflesso nel vetro del bicchiere e gli strani giochi di luce calda che emetteva; dopo vari tentativi, finalmente riuscii ad afferrare il cocktail.

Mentre buttavo giù d’un fiato guardai con interesse la felice trasparenza del liquido. Accolsi l’evento come la garanzia della sua onestà. In quella situazione l’ etanolo sembrava l’unico ente reale che non mi avrebbe mai mentito. Pochi attimi dopo mi voltai verso il televisore e rivalutai completamente l’intuizione: un liquido che invece di spegnere le fiamme, come l’acqua, le alimenta, non poteva che essere un bugiardo.

Un tizio seduto al tavolo vicino venne a chiedermi una sigaretta. Avrà avuto vent’anni, carnagione scura, abbastanza in forma, mani grandi e sicure; un dionisio post-moderno intento anche lui a pasteggiare un po’ di alcool.

Nello schermo, nel frattempo, l’immagine continuava a bruciare.

“Non senti le grida che salgono?” chiedeva insistentemente insieme all’accendino.

“Quali grida? Da dove?” feci io.

“Da Sodoma” rispose.

“Sai indicarmi la strada?” domandai incuriosito mentre gli passavo il bic.

“Zolfo, sale e arsura. Poi non vi sarà più sementa né erba di sorta che vi cresca. Il cesso invece è in fondo a destra”, si accese la sua sigaretta e se ne andò.

Sentii il bisogno impellente di pisciare e seguii con calma il cammino. Rigorosamente, senza far uscire il piede dal confine delle singole mattonelle, mi trascinai oltre la porta del bagno. Appoggiato al muro, c’era il dionisio post-moderno con la sua aria di attesa. Ero completamente estasiato e rapito dalla sua bellezza. In una brevissima visione d’insieme compresi ed afferrai ogni più piccolo dettaglio della sua persona; decisi di baciarlo e da lì a poco arrivò l’orgasmo.

“Non cercare di amare chi non vuole, accontentati di una mistica delle piccole cose” cercò di rincuorarmi, sorridendo.

E allora iniziai a piangere, per la terra arsa e bruciata e non più fertile, per l’uva di Sodoma ormai avvelenata e piena di fumo, per il seme versato senza più alcuna speranza di vederne raccolti i frutti, per i frutti che invece io avevo deciso di ingerire e assimilare quella mattina e la sera precedente. Versai lacrime abbondanti per il suo e per il mio corpo caldo, per gli schermi accesi in ogni tempo e in ogni luogo, per il Cristo che insisteva con la sua clessidra, per l’alcool che, come tutti quelli che conoscevo, si era rivelato veramente per quello che era, per le verità che nessuno mi aveva mai raccontato prima, per una sigaretta in meno nel pacchetto, per la luce al neon del bagno che aveva assistito impotente a tutto questo.

Cercai di asciugarmi in volto, salutai il dionisio e finii dritto fuori dal bar.

Saranno state le sei, forse le sette del pomeriggio. La luce iniziava a cambiare e il riverbero del sole, presente nonostante le nuvole, ormai non era più visibile. Puntai il naso verso la distesa del cielo e provai una forte sensazione di benessere. In parte mi stava scendendo.

“Le acque sono state raccolte in un unico mare, non preoccuparti più! Soffia sulla sabbia” sussurrava ancora la Sua voce.

“Ma cosa sono quei granelli? E come posso attraversare con l’aria il vetro della clessidra?” deglutii con stanchezza.

“Ogni granello è l’uno che si risolve nel tutto e compie giri infiniti attorno a un punto, soffia e basta!” sentenziò Lui.

“E’ per questo che sono abitudinario e mi sento dipendente? Perché vivo nella certezza del ritorno?” domandai singhiozzando.

“Non sai che la ripetizione è anche fonte di piacere? Pensa all’atto sessuale! Avanti, soffia!” mi incitò.

“Voglio prima tornare a casa” risposi rassegnato.

Guardai gli alberi ormai sbiaditi lungo la strada che salutavano, cercai di dire loro addio e spiegare loro del mio inevitabile rientro.

Parlai alla natura della stupida e apparente logica consequenziale fra il momento del viaggio e quello del ritorno, di come l’uno potesse esistere solo nel riconoscimento dell’altro ma non sembrò comprendere le mie parole.

Arrivai al portone, infilai le chiavi nella toppa, feci i due soliti giri ed entraii.

Mi sfilai gli stracci del giorno prima, o di due giorni prima ‏— ma ormai questo non aveva più alcuna importanza ‏— e posai lo sguardo su un posacenere che ricordavo meno pieno. Misi a fuoco la solita crepa sulla parete di fianco al letto, scrutai i mozziconi sparsi sul ciglio del pavimento.

Riconobbi la stanza, anche questa volta, per fortuna e soffiai a lungo, con quanto più fiato avessi in corpo.

Cristo si passò una mano fra i capelli brillantinati e alla buon’ora decise di nascondere il tempo.

All’improvviso caddi in un sonno profondo, ma finalmente lucido.

sabato 20 ottobre 2007

ho ripreso a fumare per smettere con te

[20.44.37] xxxxx: forse anche i nostri di arcobaleni hanno colori che non sappiamo
[20.45.17] onironauta: sai, è probabile, ma devo trovare gli occhiali giusti per vederli
[20.45.40] xxxxx: ma non li vedresti lo stesso
[20.46.54] onironauta: la soluzione?
[20.47.12] xxxxx: accontentarci dei colori che abbiamo credo...
[20.47.25] xxxxx: oppure drogarsi fino a vederne altri...:Dù

giovedì 18 ottobre 2007

passato e intralcio

no perché ecco, se solo tu potessi vedermi ora.
dentro per dio. che mi sa che di me non ci hai mai capito un cazzo.
e poi ti avevo chiesto di svegliarmi, non di attaccarmi la tua sindrome da orari sballati e sonno perenne. senza allargamento nel sogno, fra l'altro.


domenica 14 ottobre 2007

raffreddore stagionale

dio dell'autunno, tu che una volta già mi hai fregato con settembre ed il suo trascinarsi, il verde ripassato dall'umidità, il vento a spolverare il vuoto fra i palazzi, la canzone del padre ascoltata ad un volume tale da fare eco nella cassa acustica fra le costole, le canne delle sei per godersi la luce che cambia e, in mezzo giro di lancette, trasfigura le cose e le persone, la costanza di scrivere ogni sogno la mattina ancora nel letto, e quell'odore di camino e vaga lontananza che si impregna sui vestiti insieme alla puzza di vecchio e di ritorno al banale quotidiano, dio dell'autunno, tu che una volta già mi hai fregato con tutte ste cazzate, il freddo e gli starnuti, scrosta via ogni residuo di abbronzatura dalla mia pelle, ridammi il buio triste ogni giorno in più largo anticipo, l'obbligo morale di dovermi divertire ogni sabato sera, le cene domenicali a base di gentilini e cioccolata, pensa tu a fare il cambio dei vestiti nell'armadio, trasforma gli omberelloni dell'estate in ombrelli da pioggia, violenta ed ingravida ogni nuvola ed acqua sia. poi vaglielo a dire che non ci sono aspirine che tengano, né dosi di birra sufficientemente curative, e che da una canzone come svegliami era possibile creare un immaginario molto più lungo di cinque brevi mesi. vaglielo a dire, dio dell'autunno, che il corpo amoroso è sempre un corpo bagnato, e che l'amore, come quello che scrivo, non è un esercizio di sintesi, ma qualcosa di totalmente narrativo e, abbandono dopo abbandono, ricalcando quello originario di mio padre, salirà sempre la sera e tornerà il momento delle favole.

giovedì 4 ottobre 2007

sogno tzigano

martedì 2 ottobre 2007

2h06 qualcosa non torna chiedo silenzio canne e poesia

domenica 30 settembre 2007

sacro è profano

che poi non è mica giusto che per ritrovare una dimensione altra, un po' di assoluto, debba per forza pennellare mentalmente la finitudine dei nostri corpi.
potrei più facilmente sedermi a gambe incrociate e recitare, che ne so, un mantra qualunque, o anche un porcoddio.

giovedì 27 settembre 2007

FtoM 23.06.05to27.09.07. esperimento di chirurgia letteraria.

... L’avrebbe rapito e trascinato via in una nuova Eleusi, gli avrebbe insegnato a giocare con l’ ombra della sua voce riflessa fra le crepe del tempio, gli avrebbe soffiato fra i capelli di miele e di vino che un pazzo non è che "un prode che si presenta di fronte al fenomeno distruttore, invece di lasciare che se ne occupino le sue funzioni subalterne", avrebbe intrecciato e dipinto fra le sue gambe orgasmi di rose senza spine, lasciando asciugare lentamente il colore sulla pelle, traccia di lui, e gli avrebbe sussurrato della fertilità della nuda terra e di come un tempo fosse facile e necessario raccogliere passiflore dal rovente asfalto metropolitano, gli avrebbe fatto conoscere la dottrina dell’ incandescenza ed infiammato il suo sangue di nuovo dioniso, avrebbe attinto dal suo riverbero di sasso scagliato nelle acque dell’ Illisso porpora, spirali e giri infiniti attorno ad un punto e grovigli di esistenza, l’avrebbe portato sul filo sottile di una vibrazione e curato ogni sua vertigine ed ogni turbamento della sua sensibilità spaziale, avrebbe fatto di ogni sua idiosincrasia ed avversione sabbia rossa nel vento, e mutato ogni sua preghiera in respiro, gli avrebbe mostrato oltre il bosco l’autunno …

© A. Kertész, The Dancing Faun, 1919

martedì 25 settembre 2007

[esseri] imperfetti


... era.

ora è solo riappropriazione di spazio.
non uno qualunque per giunta.
il mio. qui ed ora. bello esteso e credo interessante.
scritte bianche su sfondo nero. ma anche un po' di colore.
blu. come l'acqua.
perché niente si cancella, ma molto scorre.

e quello che resta è mio.
tondelli è mio.
gli smiths sono miei.
e i cccp anche.

specchio riflesso e chi vuole giocare con me metta il dito qua sotto.
tié.
ecco.

giovedì 13 settembre 2007

dritti e rovesci ovvero vuoti a rendere

facciamo che non ti amavo per niente mentre parlavi nel sonno. con qualcuno che non era me. facciamo che abbiamo passato l' inverno scorso senza profeti o false parole. che dicevamo solo cazzate. facciamo che non lo disegno mai il profilo del tuo viso ogni volta che fumo. che è solo l'effetto delle canne. facciamo che non ti ho inseguito fino a Parigi per un'idea o un qualche surrogato d'affetto. ma sono andato in Scozia, con chi mi apprezzava veramente. facciamo che ho dormito sempre. invece di stare le ore ad esplorarti in superficie. facciamo che non siamo mai stati un onironauta e un xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx. e non ci siamo mai incontrati al confine fra gli occhi chiusi e gli occhi aperti. facciamo che invece eravamo amici, da subito. pure quando ci scaldavamo ancora nello stesso letto. facciamo che era solo coccole e pompini. sì, anche per me. facciamo che hai avuto sensibilità e tatto durante tutto il viaggio. pure quando ti baciavi con la prima stronza mentre io stavo a pezzi. facciamo che non mi urli contro per ore solo perché a un tuo "prendo quello che vuoi tu" rispondo con due cocktail quando tu intendevi bere dal mio. me li butto giù tutti e due io eh. facciamo che le nostre foto le ho stampate. le ho appese tutte al muro, per giocarci a freccette. facciamo che il ghiaccio, pur di romperlo, non lo facevo scivolare dal mojito. te lo spaccavo direttamente in testa. facciamo che ho bisogno di qualcuno che sia affidabile, non metta in dubbio la mia onestà e magari sia ogni tanto puntuale. che non siano più di 20 minuti insomma. facciamo che ci mettiamo una bella x. un pareggio. tu ti tieni il vuoto che mi hai dato, io mi riprendo i miei disturbi ossessivo-compulsivi, le mie nevrosi e i 60 euro che mi devi. magari poi li sublimo ed esce fuore qualcosa di decente, insieme all'autostima. chessò, magari due o tre libri a feltrinelli.

© J. Saudek, Hungry For Your Touch, 1971

martedì 4 settembre 2007

postumi e cartoline


Caro A.,
ho pensato molto al punto dal quale iniziare.

Avrei potuto scrivere di un sole che intiepidiva ogni singola giornata nei boulevards parigini, di nuvole incontrate solo a Biarritz e mai da nessun'altra parte, di una tenda a spiarci mentre ci consumavamo in un bacio lento, di notti ubriache e abbastanza folli, del gusto condiviso per la scoperta, di ore perse a fare scatti probabilmente non eccezionali ma chi se ne importa, di falò finiti bene, di storie inventate e sussurrate alla tua attenzione ogni sera fra una buonanotte e una russata, di paesi baschi pieni di folklore e senza turisti italiani, di ore tarde all'uscita da qualche posto dove poter ballare, di soldi che bastano e avanzano per fare qualsiasi cosa, di nessun maledetto pianto o dannato scazzo.

Quasi tutto invece, come sai, è andato nella direzione opposta.

Potrei scriverti di un S. che tiene la penna nella mano sinistra ma che quando ogni volta, al buio, ti disegna i lineamenti del viso lo riesce a fare bene solo con la destra, che non ha mai memoria, né a breve né a lungo termine, ma solo qualche spicciolo residuo emozionale, che ancora non prova la stessa scarica davanti a un quadro così come quando si trova a guardare a un film ma che forse un giorno imparerà a farlo, che sa anche proteggere e tenere i nervi saldi, che ha una voglia disperata di partire, di nuovo, in solitudine, conoscere, studiare e tornare dopo anni, finalmente migliore, che invece, più tristemente, troverà la sua meta più lontana in quattro accordi distorti di un' elettrica che ha tanta voglia di riprendere in braccio.
Ma come puoi immaginare se parlassi di questo, finirei per suonare solo autoreferenziale e non è questo il mio fine (sì, mio caro A., quando scrivo ne ho uno, e spesso anche di più).

Cosa allora? Un cumulo sparso di certezze, credo.
Nel mio primo interail le mete del viaggio erano il viaggio stesso, come esperienza in una dimensione totalmente nuova in quanto a lunghezza del periodo e legame con i miei amici, e il riconoscimento di un pensiero banale che mi passava per la testa: la perfetta e bilanciata corrispondenza fra il tempo interiore dell'attesa e il tempo di cammino del treno che diventava così mezzo ideale con cui giungere all'arrivo, permettendo di distinguere bene anche lontananza e avvicinamento fra le fasi dello spostamento.
La seconda volta che sono partito con quel biglietto la meta vagheggiata era invece Berlino, non un' idea astratta ma un posto definito e concreto, per quanto non l'abbia poi visitata e conosciuta se non superficialmente. A 18 anni andava bene comunque anche così; l'importante era sognare e alzare gli occhi su quel cielo grigio e malinconico in Alexander Platz che calzava a pennello il mio stato d'animo, girare per centri sociali e chiamare pisellone la torre della televisione (non a caso eh? )
L'occasione di quest'estate invece è stata completamente diversa.
L'aspirazione è salita di parecchio e la meta aveva assunto una forma pienamente nuova, al di sopra di tutto: si trattava stavolta di un nonluogo, una noncittà, un nonpercorso. Ed è proprio in questo moto verso l'alto che il grande Nord mi sembrava la cornice ideale.
Volevo con questo viaggio, forse presuntuosamente, riuscire a far coincidere la meta con la mia metà, o creduta tale. Una cosa da niente insomma.
Avrei dovuto calcolare meglio quanti chilometri e saliscendi continui potevano nascondersi nello spazio di un accento, lo so, ma ti giuro che non riuscivo a pensare ad un attracco più morbido che a quello dentro di te.
Per questo ora puoi capire perché, nei giorni finali, davanti ad un fallimento ormai palese ed evidente non era poi così importante essere a Barcellona o a Stoccolma o da Claudia o in qualsiasi altro posto.

In questo mese abbiamo finito con il logorarci a vicenda. Oltre alle sfighe varie, ammetto anche di averci messo molto del mio; l'ho fatto involontariamente però, come ogni uomo che fa del male. Nessuno commette deliberatamente azioni cattive che nei confronti di una persona a cui tiene. Al massimo può mancare di consapevolezza e, pur trovandosi nell'errore, è convinto di agire nel bene.

L'ultima sera mi hai detto che un giorno sarebbe tornato il sole. Ti ho risposto che comunque sarebbe stato triste perché tu non ci saresti stato più.
Ammetto che mi sbagliavo.

Credo molto alla logica del cerchio, ad una certa ripetizione degli avvenimenti. Un po' perché paradossalmente senza una simil-replica sarebbe più difficile superarli; si tratta infatti di trovare il punto di contatto fra un evento e l' altro per poi andare oltre. Un po' perché da quel poco che so e vedo, penso che l'uomo per una questione di chissà quale chimica o caso, tenda a ricreare situazioni già vissute e a circondarsi di persone che hanno più o meno le stesse caratteristiche, senza alcun controllo.
Così come nel tuo vissuto insieme a me ti sarà sembrato di rivedere qualche momento passato insieme a Luigi e parte della sua persona, sono convinto che accadrà lo stesso per me, se mai un giorno verrà qualcun altro.
Non c'è però solo questo: nel mio camminare scalzo, nel mio togliermi i vestiti davanti un'altra persona, nel mio conoscere la diversità, nel mio rinnovato guidare, nel farmi lo shampoo prima di lavarmi il resto del corpo, nell'accostarmi alla musica, nella mia barba incolta e nei capelli rasati, in mille altre abitudini, anche inutili, e modi d'essere che ho maturato in questi mesi e che, come tali, continueranno ancora a lungo, vivi tu.
In ogni mio pensare in maniera discordante e contraddirti, sei tu. Nel mio scrivere e vivere la poesia, sei tu. Nella mia spinta finale ad essere migliore, sei tu.

Nonostante tutto, ad ogni modo, i miei sentimenti non sono cambiati. Nonostante tutto, ancora, ogni volta che ti sono vicino, lo smarrimento è totale: un fiume che mi gela e straripa ogni resistenza, inonda qualsiasi movimento mentre cerco attorno una qualche speranza di salvezza. Basterebbero uno sguardo complice e uno stupido quanto infantile senso di appartenenza a rimettere i pezzi al loro posto, a scaldare la corrente, ma questo non credo possa esistere se non insieme.
Sono convinto di aver colto la tua particolarità ed unicità e che l'innamoramento sia soprattutto questo. Avresti potuto essere un altro, è vero, ma non conta poi molto: sei tu che mi sei capitato e io ho visto il tuo essere speciale e distinto dal resto, non quello di un'altra persona; la sostanza di cui è fatto tutto ciò è comunque impossibile da mettere in parole. Certo una sega, e così ogni risata o stronzata detta, era un crudo ma dolce prendermi per mano dentro quel mondo fuori dall'ordinario.
Poi subentra l'amore, e quello non si può fare da soli, è una questione di tempi e sincronia; una relazione fra due insomma, e io sono uno, uno solo; fortunato chi verrà dopo e avrà la possibilità di osservare bene quello che io ho solo intravisto.


Pioggia ha aperto la mia stagione con te in una notte di novembre, pioggia mi ha perseguitato ad agosto, per cercare di chiuderla , in una maniera o nell'altra.
In attesa di un nuovo inverno (ricordi le stagioni che si invertono?) custodisco ogni istante.

Ti amo.
Né più né meno di un' espressione.


S.

© J. Mirò, Ballerina II, 1925


domenica 5 agosto 2007

mobilità fisiologiche

se la linea che, sinuosa ed ubriaca, ti solca le labbra dovesse condurre ad un binario morto, che almeno, fra le immagini in movimento, oltre il vetro di questo vagone, io possa trovare la rivoluzione ad attendermi.

questo in fondo siamo. storie di treni, stazioni, ritardi ed attese.
l'unica differenza è che non abbiamo diritto ad alcun rimborso sul biglietto.
neanche in caso di mancata utilizzazione dello stesso.

ad ogni modo, buon viaggio.
vengo a prenderti alla gare du nord.

nuovi nomadi, romperemo ogni confine.

venerdì 3 agosto 2007

alla periferia dell'amore

martedì 31 luglio 2007

memorie dall'interno zero

insomma ci deve essere un dentro e un fuori

se accumulo lettere qui, da camere separate
se prendo e ti scrivo da un letto singolo
se non ho nessuno a cui mentire una buonanotte da una doppia qualsiasi
se ogni tanto ci sfioriamo lungo le pareti degli innumerevoli corridoi

finirà che prenderemo ricordi ed orizzonti
li rinchiuderemo in vecchie scatole
in attesa di tempi migliori
ognuna con la sua facile etichetta
rimarranno solamente amanti in affitto
ognuno per conto proprio
nessuna adiacenza
murature umide e ammuffite
stanze scarsamente arredate
cuori appoggiati su un qualunque guardrail
di nuovo in strada
sfrattati da qualche destino o santo minore

potremo chiudere porte
fare due mandate
cambiare serrature
ma che mi dici di avvitare le braccia attorno a se stessi

poi, tutto sommato, 17euro a testa in pieno quartiere latino è anche conveniente
due passi e siamo in centro
eppure non credo di sapere bene come dobbiamo muoverci

si entra o si esce?

domenica 29 luglio 2007

we cover the distance/but not together

mercoledì 25 luglio 2007

soglie temporali. le rendez-vous est à paris.

le parole spesso hanno occhi. profetici. riescono a cogliere un avvenimento che aleggia nell'aria, prima ancora che accada. solamente una volta che l'evento ha preso forma, si è reso palese, allora ciò che era stato scritto, in un breve istante, si dispiega nel suo significato più completo, più vero. pochi caratteri messi in fila che contenevano un qualcosa, nascosto, solo in potenza, all'improvviso lo manifestano come atto. il linguaggio è come un metodo divinatorio insomma, le lettere un oracolo. ne ho la conferma ogni qual volta mi metto a rileggere miei vecchi appunti di vita, abbozzi sconnessi, frasi sparse, vecchi posts sull'altro blog. in ogni riga già c'eri tu, la tua venuta, lo scossone che mi hai trasmesso, i nostri discorsi, i nostri gesti. bastava solo avere il codice per interpretare tutto. ora che credo di averlo trovato vorrei solo sapere in quali pagine andare a guardare per riuscire a capire come andrà a finire. come dire che tutto è già scritto e quel che deve accadere accade.

tout disparaîtra mais...

lunedì 23 luglio 2007

xxxxxxxxxxxx? killthepoetry!

immaginarsi milioni di persone in processione. donne incinte, scrittori falliti, ex beat strafatti marci, sadhu dalle barbe chilometriche, lascive puttane dal cuore sfranto, monaci zen ed hare krishna, senzatetto pseudopredicatori, adami ed eve postmoderni. tutti intenti a salmodiare. ognuno a recitare la sua litania, i suoi lamenti. ognuno pronto a piantare la sua croce. in un'atmosfera da rito arcano. vedersi riflesso in ogni loro singolo lineamento. poi allargare il campo. guardarli tutti lì, come piccole formiche, in pellegrinaggio lungo il deserto della tua schiena. fa caldo mentre l'accarezzo. è un passatempo che certo non mi aiuta a prendere sonno. anzi, mi inquieta anche un po'. sarà anche che stavolta non siamo su di un letto, ma su un pavimento duro che mi ammacca i fianchi ogni volta che mi giro. così scosto il tuo braccio infilato su di me, e mentre, a cielo aperto dormi sereno, mi alzo e mi giro la mia sigaretta di golden. una volta che ho leccato la cartina e sono di nuovo sdraiato sul terrazzo ascolto solo il mio respiro, mentre butto fuori l'aria. la mia preghiera. una nuova celebrazione. e mi chiedo cosa hai chiesto al tuo di dio quando poco fà quelle due stelle si sono staccate dal buio e ci sono cadute sopra. chissà a cosa credi, chissà se credi. a quello che dico. a quello che provo. anche all'amore se vuoi. mi rispondo da solo, che forse è insano cercare proprio le tue di mani a proteggermi. da te. mi rende giusto più visionario e non ammazza la poesia, non ce la fa. dovrei smettere. ma anche no. allora rimetto il tuo braccio al suo posto, stretto sopra di me, guardo in alto e buona notte. cambiano i colori, il cielo si stempera ed è già l'alba. ite, missa est.

martedì 17 luglio 2007

travel is dangerous (?)

lunedì 16 luglio 2007

quadratura del cerchio

e pensare che ieri notte ne parlavo con xxxxxxx. sì, proprio con lui. la tua brutta copia, se vogliamo, in molti aspetti. gli dicevo che oggi avrei davvero preso la macchina e sarei venuto fino a nepi. dove dovevi andare, per stare dai tuoi. motivo del tuo darmi buca al mare. avrei comprato una rosa e l'avrei infilata in altri libertini. a pagina sessantasette, dove inizia viaggio. niente di che a livello letterario, poca poesia probabilmente, ma un onesto slancio vitalistico. in un certo senso il mio aspirato stile di vita. credo di averlo letto più o meno alla tua età, quando il mio interail post-maturità era ormai passato da un anno. sarei piombato davanti casa e ti avrei chiesto dammi un'ultima possibilità, non mettere etichette, partiamo per tre settimane, scopriamo il resto del mondo insieme e un po' anche noi stessi. poi la chiacchierata con damiano si è spinta fino a tardi, le tre, e ho finito con l'alzarmi dal letto di conseguenza. era mezzogiorno, ho cercato l'indirizzo tramite le paginebianche ma, complice il garante della privacy, il servizio non funzionava più. così ho rinunciato e ho deciso di andare lo stesso al mare, anche da solo. e sì, va bene, proprio nel posto che ho criticato più volte, ma sai, sono uno sfigato nostalgico, e l'ho scelto perché in fondo era carico di ricordi ed io, come al solito, ero in cerca della tua presenza, non necessariamente fisica. sperando di mettere ordine nei cassetti. mentre ero alla guida, parallelamente, ha iniziato a farsi strada in me un'intuizione, anche se ancora ad uno stato grezzo. una premonizione non proprio lucidissima. ad intermittenza, si faceva cosciente, per poi scomparire di nuovo in qualche spazio della mente ad ogni buca o curva presa troppo stretta. così parcheggio, cazzo proprio davanti all'entrata, giornata fortunata, tolgo le scarpe ed infilo le infradito. mentre cammino, insieme alla mentos del pacchetto che mi hai dato tu, continuo a masticare quella sensazione. quando all'improvviso alzo lo sguardo e me la ritrovo davanti, concreta, l'immagine che in parte ormai avevo quasi scommesso di aspettarmi. tu e luigi in spiaggia, anche voi appena arrivati. vedi caro X., forse un giorno, a breve, farò quello che volevo veramente fare in questa cazzo di giornata, e ti darò il libro, cercando di metterti su di nuovo la voglia di viaggiare. con me, dentro di me. per adesso non mi va di intristirmi ulteriormente, quindi sorrido. non pensavo davvero che damiano potesse contribuire, forse in maniera anche positiva, a questa nostra storia, entrarci a suo modo, dopo un anno che non lo rivedevo. mi ha fatto anche risparmiare un po' di benzina. sembra chiudersi qualcosa. probabilmente non la mia adolescenza. e comunque molto ancora non torna.

giovedì 12 luglio 2007

cuori (in)castrati

ore 00:52. ripasso mentalmente la nostra ultima trenta ore, che il presente mi impedisce di dormire se non posso relazionarlo al trascorso. se avessi la certezza che tutto questo servisse a qualcosa allora mi metterei a dosare le parole, centellinare ogni sillaba. ma tu non sei arrendevole neanche stanotte ed io, da parte mia, non riesco ad allentare la presa. così siamo di nuovo a san lorenzo. dove venerdì invece sì che deponevi le armi mentre ascoltavo il tuo sonno e parlavi addormentato, per quel che ne capivo, di posti da vedere, di sciarpe, di chissà quali cose lette in un libro, e senza accorgertene, concedevi anche qualche bacio. poi c'è il fumo, la serata a casa mia, le risate, che credo diventeranno di rito, davanti ai griffin, i messaggi scambiati attraverso l'epiderma, lungo la pelle. sono io che ti scrivo che non ce la faccio più, che è insopportabile, voglio di più e comunque non galleggio, forse affogo. sei tu che mi ripeti non ti preoccupare, passerà, mi dispiace, cerca di sforzarti, finiscila. e tutto questo riusciamo a dirlo solo con le mani, niente di più. il resto sono crampi alle braccia e la consapevolezza di non riuscire ad esprimermi abbastanza soltanto per mezzo di quelle. infine il risveglio, della mente, e più tardi anche del resto del corpo, infilarsi i costumi e buttarsi a mare, le onde. decisamente più alte delle tue ma dove per fortuna stavolta non mi abbisso, resto a galla, anche se mi manca il fiato. proprio come quando immagino che siamo quasi uno. questa notte vorrei scomporre i suoni in cuffia e ricostruirli nel tuo nuovo silenzio, armonizzarli nei tuoi gesti sempre più ristretti. usciti stonati ancor prima che tu li possa suonare. stroncati sul nascere, prima di diventare coscienti. la finestra è aperta, arriva anche un filo di vento. non so se con sé porta la risposta giusta. a ognuno il suo linguaggio.

giovedì 5 luglio 2007

mercoledì 4 luglio 2007

metereo(a)patia

sempre più spesso mi piove addosso la tua indifferenza, un disinteresse totale. che neanche ti sprechi a mascherare più di tanto. a camuffarlo in un ehi scusa se non ti rispondo, anzi. lo rendi palese e a tratti strafottente. sembra che quasi ti diverta, piccolo essere anaffettivo vestito da techno esistenzialista. e io a chiedermi come sia possibile che in questo inizio luglio, con il suo sole stordente e i suoi 35 gradi, finisca ogni due giorni per essere inondato. i tempi in cui ero un teorico dell'arte del prendere la pioggia sembrano secoli fa. quando sarei stato capace di uscire sotto l'acquazzone e cantare per ore fradicio, magari un po' ubriaco, modulando la voce al passo minimale delle gocce. felice. la tua, invece, è un pioggia che mi bagna dentro e mi ammala. è una pioggia di cui non ho alcuna sete ma che penetra nelle radici più profonde. e non rende affatto fertile il terreno su cui a stento poggiamo, lo fa solo più scivoloso. tantomeno ha un'azione catartica, che non mi sembra ci sia un cazzo da purificare. forse l'unica maniera per farla riassorbire, tutta quest'acqua, è nell'osmosi dei corpi. che ogni tragedia di questo mondo finisce in un odore. e se ho una certezza, è quella che non si tratta certo dell'odore della pioggia o della terra bagnata. né di quello di noi due ansimanti. quindi prendimi la mano e vieni al centro di questa zona di bassa pressione. dove forse, fra le pieghe della pelle, esiste una qualche fessura senza nuvole.

fade out

il momento è di quelli essenziali e io devo fare attenzione. tutti i contorni devono essere curati e ben definiti. che il passaggio dalla memoria breve a quella a lungo termine può anche essere fatale. una volta arrivato oltre, non credo potresti più sfumare e io non riuscirei a dimenticare per sempre. neanche con quel fumello scrauso che mi passa la periferia.

domenica 1 luglio 2007

sit on my karma

dell'economia dei sentimenti ovvero produci consuma crepa

la prima volta che siamo usciti me ne stavo lì ad ascoltarti che non avrei mai smesso. siamo scesi sul lungotevere, hai tirato fuori un pacchetto di caramelle, anche buone, e dopo l'ennesima sigaretta hai attaccato un discorso sul consumismo. della serie ero dal tabaccaio che dovevo comprarmi le sigarette e ho dovuto prendere anche questo, che sì era superfluo, però sai, consumismo insomma. qualcosa del genere. probabilmente scontato, ma direi effettivo. così anche oggi ti ho accompagno a prenderle ste tue sigarette ed eri lì a fumartene una. un respiro. tira di nuovo. mi pareva di vederlo il fumo mentre si annodava al diaframma. te ne parli ed io me ne sto ad ascoltare, ancora una volta, come sempre a mezz'aria. o fra i tuoi polmoni. che quello che inalo è la stesso, qualcosa di leggermente annebbiato. ed inizio a pensare alle volte che mi sono sentito così: scelto, scartato, assaggiato, velocemente divorato e poi buttati via gli avanzi in un vecchio cassonetto. o anche nel tevere che alla fine è uguale. consumismo affettivo insomma. come dire fare er mignottella, baciare a destra e manca, anche senza dare un significato. che io dentro lo so che non sei così, per quanto abbia cercato di distruggere alcune parti di te. fatto sta che, saliti in terrazzo, scambio parole che non sono direttamente emesse dalla bocca e che non ho scelto io. e sarà il sole, sarà la mia consueta posizione quando sono con te, che sdraiato tutto mi riesce meglio, ma il mio dialogo immaginario scioglie ogni dubbio. che non abbiamo addosso prezzi e non ci siamo scelti e niente è ancora completamente consumato. assumerà la confezione che vorrà, che così è scritto che sia. sperando che gli ingredienti siano nelle giuste proporzioni, e tutto possa essere piacevole al palato.

mercoledì 27 giugno 2007

does the body rule the mind or does the mind rule the body

this is not a love song

di questo parlano ancora i miei gesti e il mio corpo. i miei centosessanta caratteri che, come sei solito fare, continui ad ignorare. che anche se scavalchi i miei gesti goffi ed accendi tu la candela, una volta che la luce proietta le stelle sopra le nostre teste, non basta che mi spogli completamente. "con te voglio mettermi a nudo". carne ed anima. nudo, la mia verità. a te che ne senti così tanto l'esigenza. a te che vorresti aprire un blog in cui scriverla la verità, che non ho mai capito che bisogno ci sarebbe di fissarla con l'inchiostro quando uno sceglie di viverla. a te che sembri non capire che se parlo per metafore e attraverso il simbolo non è per chissà quale gioco intellettuale, ma semplicemente perché non trovo altri mezzi attraverso cui esprimermi senza sentirmi a disagio. di questo vorrei scrivere ancora. di santa maria in trastevere, di "intanto vado a comprare le sigarette", di "non voglio tetti sopra le nostre teste", di mojitos, di 66cl da polacco, di discorsi sui bloggers che non te l'ho mai detto ma non è che me li ricordi benissimo vista l'ubriachezza molesta, di tu che dici che hai trovato il tuo efebo e chissà se questo non l'hai dimenticato te invece, del primo bacio così elettrico e si avvertiva la tensione, di some girls are bigger than others che cazzo di testo, degli smiths, di vado a firenze e parlo con barboni strafatti di massimi sistemi e cioè di te, di aperitivi, di aperitivi mancati, di tu che dormi, sempre e comunque, dei tuoi orari sballati, di tu che dormi, anche al telefono, delle ore passate ad aspettarti, di san lorenzo, della nostra panchina, di "l'altro giorno pensavo che sì tu sei un decadente", di ora invece mi hai trasformato in romantico, di coppedé, delle nottate passate insonni, abbracciati, del ti infilo la mano nei pantaloni per la prima volta ed ho di nuovo quindicianni, della société dove mangiamo tutte quelle cose da finocchi che non mi saziano ed è pieno di finti radicalchic e nouveaux riches che aprono la bocca e si rivelano per quello che sono ossia più burini di me, di massive attack a casa tua, di quanto cazzo è complicato slacciarti la cinta e i bottoni, di vieni a dormire in macchina mia a costo di stare insieme e sogno di noi due, accarezzati e poi sommersi dall'acqua dolcemente, dell'8 dicembre che non riesco a dormire e ti guardo tutta la notte, di sembro un cristo rasta, di dreadlocks legati, di dreadlocks tagliati quando mi lasci, di vino rosso, della lampada rossa ad illuminarci i sensi, di tu che cucini ed io intanto preparo una canna, di "le persone viste da vicino sono proprio strane", di cadute dalla sedia, di thom yorke e dei radiohead, di film che non riesco mai a vedere interi però almeno riesco ad addormentarmi, dell'aria che c'è la mattina dal balcone di casa tua, che sembra sempre domenica, ed è un altro tempo e mi fa venire in mente l'italia degli anni 60, l'italia del miracolo economico e delle gite fuori porta, delle poche ore passate in treno che dici che ti metto voglia di viaggiare, di "i due ragazzi seduti in fondo sono pregati di farmi vedere il biglietto o mi fermo alla polizia", di arcinazzo marittimo, di te che sei assurdo quando scoppi con la forchetta quel palloncino, dei nostri sacchi a pelo uniti, del ci laviamo i denti insieme e poi ci infiliamo dentro e c'è quel tuo odore che hai fra le gambe, di "mi piaceva molto quello che stavi facendo", della mie labbra che quando bevo sono più morbide e non ho mai capito se mi prendevi in giro quando me lo ripetevi, di villa borghese, di villa ada, del tuo letto che per me è veramente un utero disfatto, sia quand'era ancora intero, sia ora che è solo un materasso buttato per terra, del mettere le lenzuola pulite, dello sporcare le lenzuola pulite, del mio compleanno che tu non ci sei ma io volevo solo festeggiare con te, sei tu la mia svolta, sei tu i miei 22 anni, della chiave che ti infilo nella tasca dei pantaloni, di "e ringrazia che ti ho fatto entrare in camera mia", del concerto dei verdena, di patate e carote, di zuppe di peperoni, di pizze, di cinese, di wasabi, di sentirsi inferiore, di 63, di arrivo a policlinico e poi aspetto il 19 o il 3, del colosseo e delle antitesi che prendono forma nelle foto, del cuscino che ti tiro quando sei da me e dei baci che ti dò la notte che tu tanto dormi e neanche te ne accorgi, dei sabati pomeriggi che non mi fai mai sapere e sto sempre là a chiamarti, delle telefonate con adore in sottofondo, di ogni volta che torno e mi cullo sui mezzi e sicuramente avrò un'espressione da ebete che me la immagino dio che idiota, di bolle di sapone, di tiersen e di quanto non credevo fosse possibile suonare un corpo e toccare ben altre corde, dei cure, di schizzi poco opportuni ma divertenti, di strisce viola fra i capelli, del primo maggio e finalmente per la prima volta piangi anche tu, di XXXXX, di XXXXXXXXX, di XXXXX, di XXXXX, di quelli del collettivo che ti hanno portato via da me o almeno è questo che finisco per credere pur di non dare la colpa a te, di XXXXX che si vede lontano un miglio che ancora gli piaci, del circolo degli artisti che quando parte idioteque hai quella faccia che mi fa impazzire, dei viaggi e i paesaggi esplorati lungo la tua schiena, di noi due nudi di nuovo, di svadengoiden, di una notte passata a leggersi un capitolo a testa di middlesex ad alta voce sulla terrazza di casa tua e c'è la mia grecia, e la turchia, delle canne sul terrazzo del palazzaccio mio che se vede tutta la periferia ed è sicuramente meno romantico, di tondelli, di braccia dei campi rughe al sole muscoli tesi mente altrove, di torno di notte e accendo sempre msn per vedere se ci sei, del sto facendo sesso o sto facendo l'amore, ma poi è solo una sega capirai, dei cd che non ci siamo mai scambiati e dovevano essere per natale, di seven è il numero degli alberi, di vengo sotto scuola che cazzo tu non lo immagini quanto vorrei essere ancora al liceo, di tutte le sigarette che ti avrò girato, delle lacrime versate che veramente con te son piagnone ma troppo, di tutti i soldi che ogni volta ti alzo, di partiamo o non partiamo, di è meglio non parlare come se volessi mettere a tacere la coscienza, o forse è vero che rovina tutto, di tu che sei un possibile me e tutto coincide, tutto quadra, tutto si incastra che dio come siamo banali quando ci innamoriamo, di seduti su quelle scale ho sentito una risata che non è più tornata ed era vita cazzo e tu eri così bello, del tuo essere fisico, di novembre, dicembre, gennaio, febbraio, marzo, aprile, maggio, giugno scandisci tu i miei tempi, di stagioni che si invertono, del mare d'inverno che siamo solo ioete, del mare d'estate che non soltanto non siamo da soli ma siamo semplicemente io e te, di siamo amici, siamo amanti, siamo insieme, siamo nessuno, sto da solo, non ti chiamerò più se vuoi chiama te, non resisto, ti amo, ti voglio bene, ti odio, sei uno stronzo, non ho più fiducia, della poesia che c'era e che si respirava, della poesia che non c'è più e forse mai tornerà nell'aria.