domenica 30 settembre 2007

sacro è profano

che poi non è mica giusto che per ritrovare una dimensione altra, un po' di assoluto, debba per forza pennellare mentalmente la finitudine dei nostri corpi.
potrei più facilmente sedermi a gambe incrociate e recitare, che ne so, un mantra qualunque, o anche un porcoddio.

giovedì 27 settembre 2007

FtoM 23.06.05to27.09.07. esperimento di chirurgia letteraria.

... L’avrebbe rapito e trascinato via in una nuova Eleusi, gli avrebbe insegnato a giocare con l’ ombra della sua voce riflessa fra le crepe del tempio, gli avrebbe soffiato fra i capelli di miele e di vino che un pazzo non è che "un prode che si presenta di fronte al fenomeno distruttore, invece di lasciare che se ne occupino le sue funzioni subalterne", avrebbe intrecciato e dipinto fra le sue gambe orgasmi di rose senza spine, lasciando asciugare lentamente il colore sulla pelle, traccia di lui, e gli avrebbe sussurrato della fertilità della nuda terra e di come un tempo fosse facile e necessario raccogliere passiflore dal rovente asfalto metropolitano, gli avrebbe fatto conoscere la dottrina dell’ incandescenza ed infiammato il suo sangue di nuovo dioniso, avrebbe attinto dal suo riverbero di sasso scagliato nelle acque dell’ Illisso porpora, spirali e giri infiniti attorno ad un punto e grovigli di esistenza, l’avrebbe portato sul filo sottile di una vibrazione e curato ogni sua vertigine ed ogni turbamento della sua sensibilità spaziale, avrebbe fatto di ogni sua idiosincrasia ed avversione sabbia rossa nel vento, e mutato ogni sua preghiera in respiro, gli avrebbe mostrato oltre il bosco l’autunno …

© A. Kertész, The Dancing Faun, 1919

martedì 25 settembre 2007

[esseri] imperfetti


... era.

ora è solo riappropriazione di spazio.
non uno qualunque per giunta.
il mio. qui ed ora. bello esteso e credo interessante.
scritte bianche su sfondo nero. ma anche un po' di colore.
blu. come l'acqua.
perché niente si cancella, ma molto scorre.

e quello che resta è mio.
tondelli è mio.
gli smiths sono miei.
e i cccp anche.

specchio riflesso e chi vuole giocare con me metta il dito qua sotto.
tié.
ecco.

giovedì 13 settembre 2007

dritti e rovesci ovvero vuoti a rendere

facciamo che non ti amavo per niente mentre parlavi nel sonno. con qualcuno che non era me. facciamo che abbiamo passato l' inverno scorso senza profeti o false parole. che dicevamo solo cazzate. facciamo che non lo disegno mai il profilo del tuo viso ogni volta che fumo. che è solo l'effetto delle canne. facciamo che non ti ho inseguito fino a Parigi per un'idea o un qualche surrogato d'affetto. ma sono andato in Scozia, con chi mi apprezzava veramente. facciamo che ho dormito sempre. invece di stare le ore ad esplorarti in superficie. facciamo che non siamo mai stati un onironauta e un xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx. e non ci siamo mai incontrati al confine fra gli occhi chiusi e gli occhi aperti. facciamo che invece eravamo amici, da subito. pure quando ci scaldavamo ancora nello stesso letto. facciamo che era solo coccole e pompini. sì, anche per me. facciamo che hai avuto sensibilità e tatto durante tutto il viaggio. pure quando ti baciavi con la prima stronza mentre io stavo a pezzi. facciamo che non mi urli contro per ore solo perché a un tuo "prendo quello che vuoi tu" rispondo con due cocktail quando tu intendevi bere dal mio. me li butto giù tutti e due io eh. facciamo che le nostre foto le ho stampate. le ho appese tutte al muro, per giocarci a freccette. facciamo che il ghiaccio, pur di romperlo, non lo facevo scivolare dal mojito. te lo spaccavo direttamente in testa. facciamo che ho bisogno di qualcuno che sia affidabile, non metta in dubbio la mia onestà e magari sia ogni tanto puntuale. che non siano più di 20 minuti insomma. facciamo che ci mettiamo una bella x. un pareggio. tu ti tieni il vuoto che mi hai dato, io mi riprendo i miei disturbi ossessivo-compulsivi, le mie nevrosi e i 60 euro che mi devi. magari poi li sublimo ed esce fuore qualcosa di decente, insieme all'autostima. chessò, magari due o tre libri a feltrinelli.

© J. Saudek, Hungry For Your Touch, 1971

martedì 4 settembre 2007

postumi e cartoline


Caro A.,
ho pensato molto al punto dal quale iniziare.

Avrei potuto scrivere di un sole che intiepidiva ogni singola giornata nei boulevards parigini, di nuvole incontrate solo a Biarritz e mai da nessun'altra parte, di una tenda a spiarci mentre ci consumavamo in un bacio lento, di notti ubriache e abbastanza folli, del gusto condiviso per la scoperta, di ore perse a fare scatti probabilmente non eccezionali ma chi se ne importa, di falò finiti bene, di storie inventate e sussurrate alla tua attenzione ogni sera fra una buonanotte e una russata, di paesi baschi pieni di folklore e senza turisti italiani, di ore tarde all'uscita da qualche posto dove poter ballare, di soldi che bastano e avanzano per fare qualsiasi cosa, di nessun maledetto pianto o dannato scazzo.

Quasi tutto invece, come sai, è andato nella direzione opposta.

Potrei scriverti di un S. che tiene la penna nella mano sinistra ma che quando ogni volta, al buio, ti disegna i lineamenti del viso lo riesce a fare bene solo con la destra, che non ha mai memoria, né a breve né a lungo termine, ma solo qualche spicciolo residuo emozionale, che ancora non prova la stessa scarica davanti a un quadro così come quando si trova a guardare a un film ma che forse un giorno imparerà a farlo, che sa anche proteggere e tenere i nervi saldi, che ha una voglia disperata di partire, di nuovo, in solitudine, conoscere, studiare e tornare dopo anni, finalmente migliore, che invece, più tristemente, troverà la sua meta più lontana in quattro accordi distorti di un' elettrica che ha tanta voglia di riprendere in braccio.
Ma come puoi immaginare se parlassi di questo, finirei per suonare solo autoreferenziale e non è questo il mio fine (sì, mio caro A., quando scrivo ne ho uno, e spesso anche di più).

Cosa allora? Un cumulo sparso di certezze, credo.
Nel mio primo interail le mete del viaggio erano il viaggio stesso, come esperienza in una dimensione totalmente nuova in quanto a lunghezza del periodo e legame con i miei amici, e il riconoscimento di un pensiero banale che mi passava per la testa: la perfetta e bilanciata corrispondenza fra il tempo interiore dell'attesa e il tempo di cammino del treno che diventava così mezzo ideale con cui giungere all'arrivo, permettendo di distinguere bene anche lontananza e avvicinamento fra le fasi dello spostamento.
La seconda volta che sono partito con quel biglietto la meta vagheggiata era invece Berlino, non un' idea astratta ma un posto definito e concreto, per quanto non l'abbia poi visitata e conosciuta se non superficialmente. A 18 anni andava bene comunque anche così; l'importante era sognare e alzare gli occhi su quel cielo grigio e malinconico in Alexander Platz che calzava a pennello il mio stato d'animo, girare per centri sociali e chiamare pisellone la torre della televisione (non a caso eh? )
L'occasione di quest'estate invece è stata completamente diversa.
L'aspirazione è salita di parecchio e la meta aveva assunto una forma pienamente nuova, al di sopra di tutto: si trattava stavolta di un nonluogo, una noncittà, un nonpercorso. Ed è proprio in questo moto verso l'alto che il grande Nord mi sembrava la cornice ideale.
Volevo con questo viaggio, forse presuntuosamente, riuscire a far coincidere la meta con la mia metà, o creduta tale. Una cosa da niente insomma.
Avrei dovuto calcolare meglio quanti chilometri e saliscendi continui potevano nascondersi nello spazio di un accento, lo so, ma ti giuro che non riuscivo a pensare ad un attracco più morbido che a quello dentro di te.
Per questo ora puoi capire perché, nei giorni finali, davanti ad un fallimento ormai palese ed evidente non era poi così importante essere a Barcellona o a Stoccolma o da Claudia o in qualsiasi altro posto.

In questo mese abbiamo finito con il logorarci a vicenda. Oltre alle sfighe varie, ammetto anche di averci messo molto del mio; l'ho fatto involontariamente però, come ogni uomo che fa del male. Nessuno commette deliberatamente azioni cattive che nei confronti di una persona a cui tiene. Al massimo può mancare di consapevolezza e, pur trovandosi nell'errore, è convinto di agire nel bene.

L'ultima sera mi hai detto che un giorno sarebbe tornato il sole. Ti ho risposto che comunque sarebbe stato triste perché tu non ci saresti stato più.
Ammetto che mi sbagliavo.

Credo molto alla logica del cerchio, ad una certa ripetizione degli avvenimenti. Un po' perché paradossalmente senza una simil-replica sarebbe più difficile superarli; si tratta infatti di trovare il punto di contatto fra un evento e l' altro per poi andare oltre. Un po' perché da quel poco che so e vedo, penso che l'uomo per una questione di chissà quale chimica o caso, tenda a ricreare situazioni già vissute e a circondarsi di persone che hanno più o meno le stesse caratteristiche, senza alcun controllo.
Così come nel tuo vissuto insieme a me ti sarà sembrato di rivedere qualche momento passato insieme a Luigi e parte della sua persona, sono convinto che accadrà lo stesso per me, se mai un giorno verrà qualcun altro.
Non c'è però solo questo: nel mio camminare scalzo, nel mio togliermi i vestiti davanti un'altra persona, nel mio conoscere la diversità, nel mio rinnovato guidare, nel farmi lo shampoo prima di lavarmi il resto del corpo, nell'accostarmi alla musica, nella mia barba incolta e nei capelli rasati, in mille altre abitudini, anche inutili, e modi d'essere che ho maturato in questi mesi e che, come tali, continueranno ancora a lungo, vivi tu.
In ogni mio pensare in maniera discordante e contraddirti, sei tu. Nel mio scrivere e vivere la poesia, sei tu. Nella mia spinta finale ad essere migliore, sei tu.

Nonostante tutto, ad ogni modo, i miei sentimenti non sono cambiati. Nonostante tutto, ancora, ogni volta che ti sono vicino, lo smarrimento è totale: un fiume che mi gela e straripa ogni resistenza, inonda qualsiasi movimento mentre cerco attorno una qualche speranza di salvezza. Basterebbero uno sguardo complice e uno stupido quanto infantile senso di appartenenza a rimettere i pezzi al loro posto, a scaldare la corrente, ma questo non credo possa esistere se non insieme.
Sono convinto di aver colto la tua particolarità ed unicità e che l'innamoramento sia soprattutto questo. Avresti potuto essere un altro, è vero, ma non conta poi molto: sei tu che mi sei capitato e io ho visto il tuo essere speciale e distinto dal resto, non quello di un'altra persona; la sostanza di cui è fatto tutto ciò è comunque impossibile da mettere in parole. Certo una sega, e così ogni risata o stronzata detta, era un crudo ma dolce prendermi per mano dentro quel mondo fuori dall'ordinario.
Poi subentra l'amore, e quello non si può fare da soli, è una questione di tempi e sincronia; una relazione fra due insomma, e io sono uno, uno solo; fortunato chi verrà dopo e avrà la possibilità di osservare bene quello che io ho solo intravisto.


Pioggia ha aperto la mia stagione con te in una notte di novembre, pioggia mi ha perseguitato ad agosto, per cercare di chiuderla , in una maniera o nell'altra.
In attesa di un nuovo inverno (ricordi le stagioni che si invertono?) custodisco ogni istante.

Ti amo.
Né più né meno di un' espressione.


S.

© J. Mirò, Ballerina II, 1925