venerdì 21 marzo 2008

bilancio di un quasi affetto da D.O.C.

Con la pioggia continua di queste settimane, anche i gesti che uso per fare ritorno a me si sono fatti liquidi e diluiti, decisamente poco viscosi. Ecco allora che la mia mano si relaziona alle cose in maniera fluida e le dita non fanno che scorrere lentamente lungo ogni superficie. In questi giorni annacquati mi scopro a toccare compulsivamente i profili di ogni figura che incontro, a maneggiare gli orli di ogni oggetto che mi finisce sotto tiro, a ricalcarne i confini. Sembra quasi che il mio «essere interno» - per citare E. - in sintonia con il clima, sia diventato tutt' uno con gli atti e le movenze. E' tutta una questione di bordi in fondo. Cosa sarebbe ogni esistenza in mancanza di un margine a forgiarne la sua manifestazione sensibile, a dargli una struttura? Quale anatomia avrebbero questa parete, questa porta, queste chiavi, lungo le quali scivola questa mia frenesia del tocco, senza un loro contorno? Così accarezzo scrupolosamente ogni confine di ciò che mi arriva fra le mani perché in realtà mi piacerebbe essere un demiurgo delle estremità, una divinità delle bordature e avere il potere di ridipingerle, di riconfigurarle, a mia discrezione. Ci insegnano sin da bambini, quando impariamo a colorare, che non si esce dai bordi, che dobbiamo seguire il contorno. Beh, affanculo. Io vorrei cambiare i confini di questi corpi, della mia persona, della persona altrui, degli oggetti e anche degli eventi, pure quelli futuri, che lo stesso destino, come ogni trama disegnata, è almeno al principio una faccenda di bordi. Io vorrei trasformare il solo contorno di questi ultimi mesi, del capodanno come cristo comanda, del mio nuovo pezzo di carta cum laude, dei ripetuti festeggiamenti che quest'anno si cambia tutto e si fa casino, dei baci sbagliati che poi sbagliati non sono, della mia reflex nuova, della ritrovata rota per il reggae coatto e per le dancehall, del carnevale al circolo, delle giornate di quasi primavera e canne di nuovo con F. e C. che mancavano dio quanto mancavano, di tutto il tempo passato nel trastevere pomeridiano più gradevole e vivo di quello serale. Io vorrei scarabocchiarle tutte queste cazzo di linee circoscriventi e vedere se quello che resta, quello che resterà, a conti fatti, è e sarà comunque il ricordo di una sigaretta sempre accesa e degli unici bordi che dall'inizio mi sembravano così fragili. Gli unici bordi, che, proprio per questa delicatezza intrinseca, avrei voluto conservare intatti e forse avrei dovuto non toccare mai.