giovedì 29 novembre 2007

la fagocitazione come soluzione provvisoria alla perdita

ovvero riflessioni postume e incompiute di un festino universitario in un labirinto degli specchi.

Mi rivedo in S.1. La sigaretta ben ancorata nella destra e quell'andatura imponente che dà l'impressione di tagliare l'aria nonostante si mantenga sempre rispettosa dell'ambiente circostante. Ogni suo movimento sembra riflettere il carattere a tratti brusco ma in ogni caso cosciente dei limiti oltre i quali spingersi nel rapportarsi con gli altri. Ogni suo passo in avanti pare esprimere la curiosità con cui guarda a quello che sta per accadere. Ogni suo chinarsi verso di me mentre trascina le parole è un simbolico protendersi verso il mondo e ogni essere. Guardarlo entrare dalla porta principale mi fa pensare a come il portamento sia spesso un buon codice per conoscere l'interiorità di una persona. Vederlo che si aggiusta la maglietta stretta mi fa venire in mente ogni uomo e ogni donna che ho amato. In tutti i casi si trattava di qualcuno che restituisse la fisicità che il mio io non ha mai avuto, che mi facesse riappropriare del corpo, per anni represso e disprezzato. Qualcuno che riuscisse a riempire con la sua carne e personalità eccedente il mio sentirmi senza spessore.

Mi rivedo anche in S.2. Dice di non essere fumatore, poi a ogni birra e a ogni chiacchiera più lunga e apparentemente più stimolante del solito si prende il suo tabacco e se ne gira una. Dice che lo fa per semplice piacere estetico e del gesto rituale: leccare la cartina, guardare la sigaretta una volta fatta, accenderla e osservare il fumo mentre parla. Mi fa ridere il tono con cui lo ripete ogni volta che qualcuno glielo chiede, che ti verrebbe voglia di dirgli falla finita ti piace fumare e basta. Poi ci ripensi e lo guardi sorridente perché in fondo è molto più produttivo costruire il significato, anche solo narrativo, di ogni stupida esperienza, piuttosto che perder tempo a cercare una qualche verità. Dal suo metro e novanta ha quel fascino ambivalente che si prova verso le persone che guardano ogni cosa all'alto verso il basso: si vorrebbe gambizzarle per eliminare almeno una decina di quei centimentri strafottenti e allo stesso tempo riuscire ad essere come loro. Anche lui entra dalla porta principale e mentre lo scruto penso che con la sua altezza pare tutto proteso verso qualcosa di spiritualmente superiore ma anche che, conoscendolo, probabilmente non ce la farà ad elevarsi come la natura pare averlo disegnato.

Somiglio forse anche a S.3. E' un tipo che di certo non si nota con l'occhiata distratta della prima volta. Non impugna sigarette come coltelli per tagliare l'aria o percorsi di significazione e ha un aspetto un po' sfatto, la barba incolta, qualcosa nei lineamenti che non si riesce a leggere completamente. Anche quando non si trova a domandare un come o un perché ha sempre una tensione inquieta tutta espressa nell'increspatura che gli corruga la fronte, come se il caos avesse voluto alla nascita lasciargli addosso un segno di sé, un dubbio continuo. Entra da un ingresso secondario e si nasconde dietro gli altri. Lo guardo mentre si versa bicchieri su bicchieri, che non sono mai troppi, e poi attacca a parlare. Cercando di non palesare la sua insicurezza usa l'autoironia per esorcizzare ogni apparente debolezza: rivela a destra e a manca le sue nevrosi e i suoi limiti cercando di scherzarci su ma è palese che finisca per sconfinare spesso in un senso di vergogna. Ascoltarlo mi fa pensare che la forza di ogni uomo e ogni donna dovrebbe essere lo stesso sorriso disarmante con cui si smaschera lui. Magari insieme a un po' più di autostima.

domenica 4 novembre 2007

risveglio polisemantico

così è successo ancora. di nuovo io e te, in camera mia. siamo in silenzio e tace anche la stanza. distesi sul letto, ti abbraccio e ti tolgo i vestiti, chiudo gli occhi ed inizio a toccarti. schiena, spalle, gambe, braccia, riconosco ogni parte del tuo corpo. sembri tu, ancora una volta. poi inizi a parlarmi con voce di donna. e allora capisco, non si tratta di te. dentro so che hai prestato il tuo corpo a una ragazza ed è lei che si racconta a me. apro gli occhi e svanisce ogni immagine. pessima scelta essermi messo a dormire.