mercoledì 20 agosto 2008

... ( not ) as a ( boy )friend

me l'ha fatto notare una volta M., lo ricordo bene, un pomeriggio seduti ai bordi del colosseo. che alla fine sono proprio le debolezze a fare l'uomo. che essere sempre bravi e buoni e perfetti è in fondo una perizia fin troppo facile. un'abilità simulabile comodamente da tutti. mentre riuscire a mostrare le proprie fenditure è un'arte ben più complicata. così finisce che non possiamo avere la presunzione di conoscere veramente qualcuno se non ne abbiamo prima tastato le imperfezioni, osservato i nei, scoperchiato le fragilità. è più o meno lo stesso motivo per cui la bellezza è sempre un'esperienza del totale: un quadro visto troppo da vicino, solo da un lato, non è che un'insieme di righe indistinte. di linee disordinate. per coglierne veramente l'incanto si ha invece bisogno molto spesso di una visione integrale. tutti questi giri di parole per dire che è grazie a questa visione d'insieme e dalla lunga distanza, di me, di C., o almeno di com'era, e degli avvenimenti, di come vanno le cose, che mi pare tutto nuovo rivederlo e poter parlare con lui. il breve caos che segue quell'attimo bruciapelo dell'incontro non è tanto un'anarchia disperata di pensieri quanto una necessaria disciplina. io me lo immagino C., mentre mette su permesso, quando dice sto tornando a casa, che pensa alla casa in cui è tornato, quella che because its not my home, it's their home, and I'm welcome no more, e che ora, finalmente, è riuscito a riconquistare. non credo possa esserci sensazione più calda del ritorno a casa dopo un viaggio travagliato e per questo quasi lo invidio. a C. sarebbe piaciuto il salento, roni size, pendulum, le dancehall, questi miei amici che non ha mai conosciuto, quell'atmosfera da rimini dei fattoni e il falò con personaggi così surreali e assurdi che sembravano usciti pari pari da un kusturica o semplicemente materializzatisi dai fumi del bourbuka. a C. magari piacerebbe anche come sono io, ora, dentro. ma forse è solo questa voglia di trascinare che ho da mesi addosso, forse è quella cazzo di fontanella dove lo porto a bere, sempre lì, stabile, a via della cisterna, o forse, se non ti sta bene urlamelo in faccia, I just really miss you...

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Non per essere polemico, ma ci tenevo a precisare che io Permesso? la interpreto in modo più ampio..

Innanzitutto la casa non è una casa vera e propria, ma una casa più importante: una specie di casa dentro di noi. Una sorta di coscienza, più o meno.
E la strada più che una strada è un percorso inconsciamente definito in passato, sulla luce di ciò che siamo, ciò che eravamo e ciò che vorremmmo essere.
Permesso, dice, non è una fuga, questo perché è uno svincolarsi dal superfluo, ma per dirigersi verso una meta precisa: una presa di coscienza.
Tornare a chi si era dimenticato di essere e di voler essere.

immobilerivoluzionario ha detto...

Non intendevo di certo la casa in cui C. è tornato ad abitare fisicamente. Sia chiaro che anche la casa in cui io immagino C. è metaforicamente intesa e non una casa vera e propria. Nella mia proiezione, però, Permesso? è sì un riconsegnarci a noi stessi, ma che avviene attraverso l'altro. Can you read my soul? in effetti potrebbe anche essere una domanda di autocoscienza, rivolta al proprio ego. Secondo me, però, che la vedo molto più banalmente, è solo una richiesta fatta a una persona, fuori da noi, cui abbiamo fatto ritorno. E l'altro per antonomasia, l'altro per cui il cuore sente questo disfarsi non può che essere colui o colei che ci completa. Riapprodare all'altro insomma, per rientrare in sé.

Comunque nessuna pretesa di fare un'ermeneutica personale di C., assolutamente. Voleva solo essere una reverie.

Fa piacere, a ogni modo, non trovare nelle tue parole più accenno a ciò che gli altri vorremmo che fossimo, che in passato, ma potrei anche ricordare male, accompagnavi spesso a ciò che siamo, ciò che eravamo e ciò che vorremmmo essere.

immobilerivoluzionario ha detto...

@vi

???