martedì 3 marzo 2009

la sindrome dell'arto fantasma

che diciamocelo pure. va bene l'affetto, già detto, già fatto, già tanto. e sia anche il magnetismo, che cosa te lo ripeto a fare, non credere agli amori dell'intermittenza, su e giù un pulsante, on-off, off-on, tic-tac, tic-tac, toc-toc, avanti? indietro, avanti e indietro e poi di nuovo, passo passo. e non parlo di me, forse di quell'altro. le mie porte sono state sempre dannatamente aperte. insomma, diciamocelo pure, l'unica molla in grado di muovere ogni cosa nel mondo è di superiore natura. sto dicendo di quel primo motore chiamato contraddizione. la conditio necessaria a quell'assurdo istante che prelude al cambiamento. la genesi delle possibilità, del bivio, della biforcazione, dell'esplosione combinatoria. del momento di tirare fuori i birilli migliori e mettersi a giocare all'incrocio dei binari. a e non a, b e non b, c2 colpito e affondato. che spostarsi non è altro che prendere una via fino ad allora misconosciuta e tenuta in spregevole considerazione, decidere di andare anche controvento. e farlo mentre si lancia tutto in aria per poi riprenderlo al volo. in tempi come questi, di trasformismo di basso profilo e di finte contraddizioni, di crisi fattuali e scarsità di ori e dischi epocali, la vera domanda che ci dobbiamo porre non è perché qualcosa piuttosto di qualcos'altro quanto perché piuttosto qualcosa che il nulla. e dove fosse la prosperità, prima. come chiedersi se il rock sia veramente morto alla fine degli anni 90. decisamente più sottile. in tempi come questi, di quaresima e battaglie navali, di sottocoperte e digiuni è in fondo opportuno stracciare le fatture di guerra, gli obiettivi abbattuti, i giocolieri in caduta, i cd scaricati. dare fuoco alle bollette del gas e della luce. che se domani staremo una pasqua, saremo io e lui. l'interruttore che non c'è. e la corrente, continua. off.

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